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L’antico casale Votraci

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posto sul pendio dei monti Picentini, in posizione dominante rispetto agli altri casali, si snoda con il suo abitato lungo una strada stretta ed irta formando un naturale semicerchio rispecchiando la antica fisionomia di quei centri abitati che si ergevano in luoghi che consentivano facile difesa in caso di incursione nemica.
 
Anticamente era un percorso di transumanza verso i monti che conducevano nei piani di Acerno e dell’Acellica, che favorì la nascita delle prime abitazioni intorno alla famiglia dominante Franchini. L’amenità dell’aria, la ricchezza e la bontà dell’acqua, la splendida veduta panoramica, non potranno non colpire l’attenzione del turista. Diverse sono le ipotesi intor¬no al significato del nome Votraci; la prima lo fa derivare dal greco «batracos» che vuol dire rana, ad indicare un luogo ricco di rane; la seconda dall’espressione antica napoletana -batracelli- che vuoi dire dirupo; la terza da una espressione derivata esclusivamente per ragioni di segnaletica, e cioè dal francesismo -Vote-ici- volta qua, per recarsi sul casale.
 
Personalmente propendo per la seconda ipotesi.
Le strade di accesso sono due: una traversa che dalla frazione Molenadi sale su con antiche scale di pietra ( che non ci sono piu’ ), Vicolo Provenza e Vicolo Gradoni, il primo nome in onore del più volte Sindaco Luigi Provenza di Votraci, (dal 20-2-1870 all’11-4-1879 – dal 19-6-1885 al 13-11-1889 – dal 7-8-1895 al 8-9-1898), il secondo nome proprio per i gradoni in pietra che salivano su a Votraci in precisa successione; la strada principale, invece, si innesta sulla statale 164 per Acerno a 100 metri sulla sinistra da Piazza Umberto lº. Sorpassando la parte nuova, dopo circa 300 metri, si raggiunge una fontana pubblica con lavatoio, la cui sorgente è posta poco al disopra di essa. Affianco, si accede nel cortile di un palazzo settecentesco, attualmente di proprietà delle famiglie Foglia e Benvenuto, nell’atrio del portone, sotto la volta è affrescato lo stemma della famiglia Budetta di S. Maria a testimonianza che una volta il fabbricato è appartenuto a questa famiglia, l’ultimo possessore fu Gennaro Budetta.
 
PIAZZA BELVEDERE offre una visione ormai coperta della antica e bella visuale. Un arco costruito in tempo relativamente recente ci introduce in PIAZZA MOLA, e la strada dei gradoni, più avanti sulla sinistra vi è il vicolo Masucci che porta al Palazzo della omonima famiglia. Da questa famiglia passò a D. Felice Rizzo e da questi al maresciallo Tatullo, per finire poi alle famiglie Vasso e Moscariello, attuali proprietari.
 
Più avanti un altro Palazzo datato 1832 che dalla famiglia Pagano passò agli attuali proprietari De Felice; oltre, sulla sinistra dopo aver osservato uno splendido ponticello di passaggio da un lato all’altro del vico, vi è un altro portone datato 1866 con le iniziali B.C. (Cappuccio Bonaventura).
 
Dopo pochi passi ancora raggiungiamo la piazza Mons. Franchini, cuore antico del casale, un palazzo superbo e maestoso, nonostante l’usura del tempo, si mostra ancora con tutto il suo orgoglio, splendidi porticati interni, scale che ricordano identiche costruzioni nel cuore della vecchia Napoli. Sotto gli archi esterni si narra che esistesse una cappella di famiglia dedicata a S. Gennaro. In questo luogo nacque Mons. MICHELANGELO FRANCHINI, nel 1792. Dal 1820 arciprete della Collegiata di S. Pietro. Dal 1832 Vescovo di Nicotera e Tropea su ordinazione del Papa Gregorio XVI. Morì in odore di santità il 24 maggio 1854. Tale famiglia fu insignita di nobiltà nel 1494 con Mariantonio, Francesco e Carlo.
 
Questa Piazza, poco larga ma notevolmente lunga, era il centro dello svolgimento delle feste in onore di S. Bernardino; da essa partivano le sfilate di carnevale alla volta del Capoluogo e, probabilmente, in questo luogo circa due secoli e mezzo fa, nacque «U RITTU DI FRA MICHELE»
 
votraci

Campanile di S. Bartolomeo del Torello

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Nel mese di aprile 1575 venne eretta la confraternita del SS.mo Rosario nella chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo del Torello. Il sodalizio aveva fra i suoi scopi la raccolta di offerte e donazioni per il mantenimento e le eventuali ristrutturazioni necessarie all’edificio parrocchiale.
La nuova chiesa di S. Bartolomeo, ricostruita presso l’attuale sito negli anni ’60 del Cinquecento, era priva di un campanile per cui negli anni ’40 del XVIII secolo i “Mastri e gli Officiali della Confraternita del Rosario” decisero, in accordo col parroco, di costruire un campanile sul lato dell’”Evangelio”.
Nel corso del 1748, il sacerdote d. Ludovico Savino, in qualità di cassiere della confraternita del Rosario del Torello, contattò mastro Nunziante Sorrentino per costruire il campanile della chiesa parrocchiale. Il detto mastro Nunziante, insieme ad altri muratori di Cava, presentò il disegno della nuova struttura campanaria a d. Ludovico accordandosi con lui e con gli altri ufficiali del sodalizio per la costruzione del nuovo edificio turrito.
Il 4 novembre, finalmente, dopo vari ed estenuanti ”patteggiamenti”, le parti stilarono un contratto notarile dove veniva minuziosamente annotato i tempi e i modi per la costruzione del detto campanile, la cifra e la fornitura del materiale necessario.
L’opera consisteva in una torre campanaria composta da quattro ordini da edificarsi in quattro anni, con verifica annuale da parte di “periti eletti” comunemente e con l’impegno da parte dei mastri di farlo bene e senza nessuna lesione, pena il pagamento di tutti i danni e le spese. La confraternita si impegnava a pagare il lavoro, il materiale e tutto il necessario al termine di ogni anno, versando, però, un cifra iniziale di ducati 12.
Il campanile composto da quattro ordini fu completato nel corso del 1753 e inaugurato con le relative campane negli anni successivi con grande soddisfazione e gioia del parroco, dei fedeli e della confraternita.
Per consultare il documento sulla costruzione del campanile vedi il sito www.montecorvinostoria.it  alla voce borghi: Torello
campanile chiesa san bartolomeo Torello
campanile chiesa san bartolomeo Torello

PALAZZO PROVENZA

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IL PALAZZO PROVENZA in Via Diaz di Montecorvino Rovella
Detto Palazzo , da dati certi, risulta che già nel 1600 era esistente ed apparteneva alla Famiglia Provenza.
Fu Domenico Provenza che nel 1850 iniziò una ristrutturazione della casa e la abbellì con uno stupendo portale in pietra, oltre che dotarlo di uno stemma di pura fantasia che, tuttavia, presentava molti elementi indicativi dell’origine di detta Famiglia.
Affacciarsi sulla via di collegamento tra la parte della pianura montecorvinese e il Capoluogo Rovella, era un elemento essenziale per accrescere l’importanza della famiglia. Detta Via, con l’inizio delle costruzioni sia sul lato destro che su quello sinistro, assunse molta importanza, prima si chiamò Via Clelia e dal 1920, Via Diaz.
Fu Luigi Provenza, nato nel Casale VOTRACI , due volte sindaco di Montecorvino Rovella tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 ,che fece accrescere l’importanza del fabbricato , fregiando il portone con ottimi affreschi che erano il risultato della sua cultura ( Al centro la Scala di Giacobbe, motto e stemma della famiglia Savoia, Ara Pacis, Tempio di Giunone, ecc…….oggi quasi illeggibili ).
In più, poiché amava viaggiare ed era innamorato di Venezia, fece costruire una loggiata di collegamento tra i due palazzi vicini facendo supporre una timida copia del “ Ponte dei Sospiri “ e per rafforzare questa idea fece dare il nome di “Vicolo Venezia “ al Vicolo sottostante che consentiva l’accesso dalla via in costruzione che poi si chiamerà Corso Umberto I, con la via antistante il portone di ingresso: casa natia di Fra Generoso Muro, fraticello di San Francesco

NUNZIO DI RIENZO

La Chiesa di S. Rocco di Rovella

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Nel 1656 il Viceregno venne funestato da una terribile pestilenza che provocò migliaia di morti e una grave crisi socio economica. Nelle nostre zone l’epidemia fu portata da cittadini napoletani fuggiti dalla capitale nel tentativo di evitare il morbo. A Montecorvino l’infezione, documentata a fine luglio, si diffuse rapidamente nei vari casali nel mese di agosto, protraendosi, con casi sporadici, per tutto l’anno.
 
Alle prime avvisaglie del contagio il clero e il popolo si affidarono alla protezione di S. Rocco dedicandogli una cappellina in legno costruita nei pressi della «Croce di Santo Pietro». Tra i primi devoti a S. Rocco troviamo Jo Nicola Scarparo, il quale il 18 agosto donò alla «nova Ecclesia sub titolo Santi Rocchi» un oliveto posto in località Donnico. Le manifestazioni di fede e ringraziamento proseguirono per tutto il 1656 e buona parte dell’anno successivo. Passato il periodo del contagio i “mastri e cassieri” Vito Antonio Sparano e D. Vito Acernese incontrarono delle difficoltà economiche per terminare la costruzione. Nel 1665, infatti, Mons. Glielmi ordinò al “mastro fabriciere” D. Bartolomeo Ceraso di completare l’edificio con le entrate provenienti dai suoi beni.
 
Mons. Menafra nel 1723 assegnò S. Rocco alla Congregazione del Santo Rosario per consentire ai confratelli «l’esercizi spirituali», con l’obbligo di ornare e fornire i “suppellettoli” all’altare, rifare il tetto e soddisfare il peso di sei messe che dovevano essere celebrate dall’Arciprete. Le deliberazioni del prelato furono rispettate per alcuni anni. Successivamente i contrasti sorti tra l’Arciprete e la Confraternita causarono l’abbandono e il deperimento del fabbricato. Ad evitare il peggio intervenne Mons. Lorenzi, che conciliò le parti mediante un atto stipulato nel 1751, con il quale si stabilì che la chiesa era di proprietà della Congregazione: quest’ultima aveva l’obbligo di ripararla, pagare le messe all’Arciprete e fare i quadri della Vergine del Rosario, di S. Domenico e S. Rocco. L’Arciprete veniva esonerato dalle spese della manutenzione, conservando il diritto di celebrare le messe di obbligo e della festività di S. Rocco, ricevendo in tale occasione mezza libbra di cera.
 
Grazie a questo accordo nell’arco di pochi anni la chiesa fu completamente restaurata e abbellita all’interno con sedili, i quadri voluti dal Vescovo e un nuovo altare, al quale fu concesso un privilegio da Papa Clemente XIII. S. Rocco, quindi, da semplice chiesa votiva acquisì una notevole rilevanza religiosa, divenendo prima oratorio della Congrega e poi sede del Capitolo di S. Pietro nell’ultimo quarto del XVIII secolo.
 
Estratto da A. D’Arminio-V. Cardine-L. Scarpiello, Chiese di Montecorvino e Gauro.
Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, Montecorvino Rovella febbraio 2018, pp. 72-73.

ELEZIONI POLITICHE 25 SETTEMBRE 2022 – Risultati – Montecorvino Rovella

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Risultati – Montecorvino Rovella
elezioni politiche 25 settembre 2022

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SENATO

 

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PALAZZO AITORO – Via Cerino

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Nei primi anni ’50 del secolo d. Giulio Pignatelli, Principe di Noja, per tutelare i suoi notevoli interessi da poco acquisiti nella Piana di Montecorvino e per vigilare sulla amministrazione del feudo di Montecorvino, donato nel 1645 al figlio d. Aniello, decise di prendere in fitto alcune stanze del palazzo Aitoro. La permanenza con la sua famiglia a Montecorvino era saltuaria e, probabilmente, legata ai cicli stagionali e alla firma di alcuni contratti di vendita o acquisto di prodotti agricoli, bestiame e terreni.
 
Nelle feste di Natale del 1651-52, il Principe di Noja fu colpito da una grave lutto: la morte del figlio Andrea. L’otto di gennaio del 1652, i maggiorenti di Montecorvino insieme al giudice, notaio e testi si recano in casa del Ill.mo Principe.
 
“Su richiesta fatta dall’Ill.mo ed Eccellentissimo Domino Don Giulio Pignatelli, Principe di Noja e utile Signore dello Stato di Montecorvino, accediamo in palatio Andree de Aitoro, di Montecorvino, sito in casale Robella, ove abita detto Principe. Ivi troviamo giacente il corpo di Don Andrea Pignatelli, figlio in pupilla età del detto eccellentissimo Signor Principe, per dargli momentanea sepoltura nella chiesa di Santa Maria degli Angeli dei Padri Cappuccini di Montecorvino, per poi trasferirlo definitivamente in un’altra chiesa e sepoltura”.
 
Negli anni ’60 del Settecento, il canonico rev. d. Andrea Aitoro, unico proprietario del palazzo, decide di abbellire la sua casa, costruendo sul portone d’ingresso un portale in pietra. A tale scopo contattò il mastro scalpellino Giuseppe Ferrucci di Calvanico con il quale concluse un accordo per la messa in opera di un portale “della pietra di Eboli della migliore al fine di non farci succedere nessuna macula, fissura o mangiatura di pietra”.
 
Nel contratto privato stipulato a Montecorvino il 12 maggio 1761 le parti stabilirono:
Il Signor Mastro Giuseppe si “obbliga di fare il portone di pietra con la migliore pietra di Eboli, di ben lavorarla con la martellina a seconda che ricerca l’arte e come il disegno fatto da esso Mastro Giuseppe.. Promette di farlo di palmi dodici di altezza, palmi otto di larghezza e di formare la modolatura e l’impresa di famiglia dentro la crocetta da sotto il cornicione, secondo come ricerca l’architettura. Si obbliga ancora di fare il grado di detto portone e la soglia della finestra con la stessa pietra di Eboli, il tutto per il prezzo di duc. 55.
Quale portone, grado e finestra deve il detto Mastro Giuseppe farla ed abbozzarla ad Eboli e il detto Don Andrea trasportarla nella sua casa a sue spese per tutto il venturo mese di agosto del detto anno e dopo carreiata deve il sudetto Mastro con suoi artefici ponerla in detta casa entro tutto il mese di dicembre di detto anno. Il Sign. Can. D. Andrea si impegna a darli il comodo di letto per tutto il tempo che ponerà il portone, il grado e la soglia nella sua casa, di pagare duc. 25 quando l’opera sarà a Montecorvino, di versare i restanti duc. 30 ad opera compiuta e infine per regalo dargli un quarantino di olio.”
Per leggere l’intero contratto sul portone vedi S. Milano, Nuovi documenti sui mastri scalpellini, in R.S.S., XXIV/1, n. 47, giugno 2007, pp . 302-303.
 
 

FOTO: SAGRA DELLA BRACIOLA Lunedì 29 Agosto 2022

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Un ringraziamento particolare al nostro fotografo ©Gerardo Gemello
a breve saranno caricate le foto dei giorni successivi
BUONA VISIONE se potete
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