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Il feudo di ‘Fosso e Verdesca’

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Il feudo di ‘Fosso e Verdesca’: prime attestazioni e modalità di gestione
Nei protocolli del notaio giffonese Antonello De Dario, conservati nell’Archivio di Stato di Salerno, si possono leggere due atti relativi al feudo di ‘Fosso e Verdesca’ del 1488, uno del 29 marzo e l’altro del 26 luglio. Allo stato attuale delle ricerche essi rappresentano la prima attestazione dell’esistenza di questo importante feudo dello Stato di Montecorvino, la cui storia interesserà tutta l’età moderna fino alle leggi eversive del XIX secolo. E’ plausibile supporre, quindi, che sul finire del secolo XIV i territori del Fosso e della Verdesca furono “staccati” dallo Stato di Montecorvino, infeudati separatamente e concessi a Bertrando Sanseverino, capostipite del ramo dei Conti di Caiazzo.
Nel 1530 il feudo di “Fosso e Verdesca” fu venduto da Roberto Ambrogio Sanseverino D’Aragona a Michele Giovanni Comes e da questi passò ai Denza di Montecorvino, che ritroviamo proprietari nel 1557.
Nel 1488, dunque, il feudo apparteneva al Conte di Caiazzo, Giovan Francesco Sanseverino D’Aragona: il 29 marzo Luigi D’Alessio di Giffoni, suo procuratore, lo affittò a Bernardo De Ligorio di Montecorvino. Tuttavia, l’atto stipulato il 26 luglio successivo ci informa che i conti di Caiazzo risultano proprietari del feudo anche nel 1484, in quanto lo stesso Luigi D’Alessio si ritrova debitore nei confronti del tesoriere del Conte per una parte dell’affitto relativamente all’anno indicato dalla ‘terza indizione’, che corrisponde appunto al periodo settembre 1484-agosto1485.
Il D’Alessio gestiva il feudo di Fosso e Verdesca in veste di procuratore da diversi anni. La gestione del fondo appare alquanto articolata: il feudatario nominava un procuratore locale, il quale dava in fitto il territorio a terze persone, che a loro volta concedevano porzioni del feudo ad altrettanti affittuari che ne curavano la coltivazione. L’accordo stipulato il 29 marzo è un esempio di questo elaborato sistema di gestione. Il prezzo dell’affitto è stabilito in 23 moggi di frumento, in proporzione di 2/3 di grano e 1/3 di orzo, oltre a quattro fosse granarie presenti nel feudo stesso, riempite di grano ed orzo (sempre con rapporto 2/3 ed 1/3) che rimangono a disposizione del feudatario.
Bernardo, dal canto suo, ha il diritto di usufruire a suo piacimento del restante raccolto e di riscuotere la tassa del ‘terraticum’ secondo la consuetudine del luogo. I 23 moggi di frumento suddetti devono essere portati nella casa del D’Alessio a spese del De Ligorio entro il mese di agosto, con l’esenzione a favore dell’affittuario del pagamento della tassa sul trasporto. Possiamo immaginare Luigi D’Alessio, procuratore del Conte di Caiazzo, capitano di ventura impegnato nelle sue battaglie al soldo di re, papi e imperatori, complottare in combutta con Bernardo De Ligorio e con il tesoriere del conte, stipulando contratti vantaggiosi per tutti, tranne che per il feudatario e i contadini che lavoravano le terre del feudo. Luigi D’Alessio nel 1488 riempiva i propri granai con ben 100 quintali tra grano e orzo, ma non sappiamo quanto ne restava al conte nelle quattro fosse scavate nella masseria; Bernardo De Ligorio riscuoteva il terratico da decine di piccoli affittuari, misurando sicuramente ‘al colmo’ il grano e l’orzo da essi dovuti per la concessione, ma non sappiamo quanto ne avanzava per le loro esigenze familiari. Ai poveri contadini che sudavano nelle paludose e malariche terre della Piana rimanevano le briciole del duro lavoro, condannati ad una vita di stenti e fatica.
Testo di Vito Cardine – Ricerche di Archivio a cura di Sabatino D’Alessio
Per consultare l’intero testo sul “Feudo di Fosso e Verdesca” vedi il sito www.montecorvinostoria.it alla voce borghi: S. Martino Piana.
 
 

Nuvola nel Medioevo

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Nel periodo romano la nostra contrada era interessata dalla presenza di un fundus, databile al II sec d.C. quando nella onomastica coeva si trovano diversi gentilizi quali Nebo, Tullio Nebusi e Naevolius. Il luogo originario di Nebulano, a nostro parere, è stato individuato nella parte alta di Nuvola presso l’attuale località Battaglione, luogo acclive e ricco di acque sorgive.
 
Con l’arrivo dei longobardi il fundus venne assegnato al capo fara (gruppo famigliare) residente nella Sala di S. Martino. Nella località Cupa della Fontana Grande, probabilmente nell’ultimo decennio del settimo secolo, si insediò un dominus appartenente alla famiglia longobarda residente nella Sala di San Martino o proveniente da altro sito.
I Normanni, per il controllo del territorio, costruirono un nuovo aggregato di case, una torre e una chiesa dedicata a S. Nicola, Santo caro alla Principessa di Salerno Sichelgaita. Nel 1172 uno dei comproprietari di S. Nicola detto de Oruto, il milites Matteo De Corsellis, vende la sua parte all’Arcivescovo di Salerno, il quale con questo acquisto rafforzò il controllo feudale ed ecclesiastico nella nostra zona.
 
Durante il XIV secolo, il progressivo calo demografico causato dalla peste nera portò alla rivalutazione dei siti di altura quali S. Nicola e Nebulano, dove si rifugiarono gli abitanti dei borghi vicini. Questi due luoghi antropizzati, formati da aggregati a corte chiusa, furono edificati dal ceto dei vassalli della chiesa, i quali riuscirono a garantire alla popolazione locale lavoro e sicurezza.
 
Negli anni settanta e ottanta del XV secolo il nuovo assetto politico militare vide l’affermarsi delle famiglie D’Arminio e Sparano, rappresentate rispettivamente da Carlo e, probabilmente, da Matteo, strenui difensori della nuova dinastia Aragonese dei Trastamara.
I due aggregati di S. Nicola e Nebulano, in questa nuova fase interagendo tra loro con l’apertura di nuovi collegamenti, consentirono un ampliamento del tessuto urbano e una maggiore interazione con i villaggi viciniori. Tale condizioni di supremazia viene riconosciuta dagli estensori del Diploma del 1494 in cui il fortilizio viene detto Nebulano perché era posto sopra uno dei più importanti abitati di Montecorvino.
 
Per consultare il testo sulla storia di Nuvola nel medioevo vedi il sito montecorvinostoria.it. alla voce borghi: Nuvola.
 
fonte: montecorvinostoria.it
 
 
Frazione Nuvola
Frazione Nuvola

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Erezione della Parrocchia nel Villaggio Votraci

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Alla fine del Seicento gli abitanti di Votraci manifestarono al Vescovo di Acerno l’intenzione di voler riparare e fornire la chiesa di S. Bernardino di tutto il necessario per celebrare la messa nei giorni festivi. L’iniziativa fu accolta dal Capitolo di S. Pietro tanto che nel 1718 era funzionante e frequentata dalla popolazione.
Nonostante gli sforzi degli abitanti del Casale di rendere S. Bernardino più accogliente e funzionale, la sua condizione rimase quella di chiesa secondaria. Infatti essa per buona parte del Settecento risulta nelle visite pastorali priva del SS. Sacramento e di un sacerdote addetto stabilmente alla sua cura.
 
Per mutare questa incresciosa situazione i notabili di Votraci, prima fra tutti l’Arciprete d. Fabio Franchini, “supplicarono Mons. Calandrelli, vescovo di Acerno, per la restaurazione e nuova fabbrica di una chiesetta sotto il titolo di S. Bernardino, sita in detto Casale”, affinché “non solo si potesse celebrare il Sacrificio della Messa, ma benanche riponerci nella medesima il SS Sacramento per potersi dare il viatico in caso di necessità”. Il Vescovo, presa a cuore la richiesta dei figliani di Votraci, si adoperò presso il Monte Reale della Venerazione del Santissimo Sacramento di Napoli, al fine di ottenere “qualche elemosina” per il restauro di S. Bernardino.
 
Ricevuta dal suddetto Monte una polizza di 100 ducati, il prelato esortò i richiedenti affinché cercassero un “mastro fabbricatore” che portasse a termine l’opera. I “richiedenti” per adempiere tale richiesta, indissero rapidamente una pubblica asta dove ne uscì vincitore “Mastro Ciriaco Sorrentino” per un prezzo di duc. 112 e grana 50. Al momento di stipulare il contratto con il Sorrentino “per loro disgrazia passò all’altra vita il cennato Vescovo Calandrelli, a cui trovasi intestata l’anzidetta polisetta di Banco, e non si è potuto obbligar e comandare il ridetto Sorrentino, ma trovandosi destinate persone per tale atto”.
 
Per evitare la perdita del denaro stanziato inoltrarono una petizione all’Università, affinché i suoi organi di governo eleggessero due persone a cui affidare il ruolo di Procuratori. Le persone incaricate dal Sindaco e dagli Eletti furono il Can. D Giuseppe Franchini e Nicola Provenza, i quali, compiuti le dovute operazioni per acquisire il denaro concesso dal Monte, stipularono l’atto notarile con “mastro Ciriaco” l’8 settembre 1797. I lavori commissionati all’Appaltatore consistevano nel rafforzamento della struttura, in una nuova tettoia ed alcuni abbellimenti interni, ovvero la realizzazione di una volta a botte, due finti archi e l’intonaco delle pareti.
 
Nonostante la realizzazione di questi lavori e le continue richieste dei figliani di Votraci, S. Bernardino rimase semplice chiesa per buona parte dell’Ottocento. Nel 1868, in un periodo di forte crisi per la Diocesi di Salerno, l’Arcivescovo Antonio Salomone decise di esaudire i desideri e le continue richieste del Capitolo di S. Pietro e degli abitanti di Votraci, erigendo S. Bernardino a Parrocchia.
 
L’Arcivescovo di Salerno, Mons. Antonio Salomone con bolla di arcivescovile del 3 Luglio 1868 eresse S. Bernardino di Votraci come nuova parrocchia di Montecorvino.
Estratto da A. D’Arminio-V. Cardine-L. Scarpiello, Chiese di Montecorvino e Gauro. Istituzioni religiose e vita sociale nella Diocesi di Acerno, Montecorvino Rovella febbraio 2018, pp. 53-54.
 
Per consultare il documento sull’erezione della parrocchia di S. Bernardino di Votraci vedi il sito montecorvinostoria.it. alla voce borghi: Votraci.
 
fonte:montecorvinostoria.it
 
 
 
 

ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2023 – Montecorvino Rovella

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AFFLUENZA TOTALE  63,24%    cittadini votanti   6.741


 

Candidato sindaco

Giuseppe D’Aiutolo  

Uniti per Rovella

1096 voti


Maurizio D’Arminio 151, 

Carla Andria 46, 

Giuseppe Bellino 19, 

Angelo Boffa 39, 

Benedetta Ciaparrone 96, 

Gennaro Coralluzzo 18, 

Serena Dell’Angelo 52, 

Vincenza Di Muro 43, 

Andrea Ferri 26, 

Rodolfo (Rudi) Gnocchi 78, 

Nando Pagliarulo 88, 

Stefania Salvatore 9, 

Rosario Santese 251, 

Carmine Toriello 98.



Sindaco eletto

Martino D’Onofrio

Insieme per Cambiare

5480 voti

 


Gaetano Citro 354, 

Davide Coralluzzo 312, 

Maria (Mariella) Coralluzzo 411, 

Francesca Della Corte 635, 

Aniello (Nello) Di Pasquale 306, 

Alfonso Di Vece 319, 

Carmine Falabella 617, 

Giuseppe (Pino) Farabella 359, 

Pietro Landolfi 331, 

Luisa (Patrizia) Montella 419, 

Margherita Morretta 500, 

Stefania Quaranta 587, 

Filomena (Milena) Salvatore 566, 

Antonio Vassallo 273, 

Corrado Volpicelli 1385, 

Filippo Zottoli 285.


 

 

Analisi di un sito : Il Castello di Montecorvino

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L’articolo, le foto, i rilievi grafici sono il sunto di ricerche effettuate sul campo, preciso che non sono un archeologo, mi reputo semplicemente un cultore della materia. Se il lettore denota degli errori, o semplicemente non è d’accordo su quello che ho scritto, sarei contento di un confronto e sempre pronto ad imparare e sicuramente propenso a ritornare sui miei passi.
Spero di aver fatto cosa gradita. Arch. Gregorio Soldivieri.
Il castrum di Montecorvino ha svolto, in collegamento con quelli circostanti, una funzione difensiva in età Normanna, Sveva, Angioina ed Aragonese. In particolare si ricorda che il castello di Montecorvino faceva parte della linea difensiva di casa d’Angiò durante la guerra del Vespro (1282-1305).
Costruito su un terreno pianeggiante, il castello occupa un’area di circa 500 mq. ed è situato a quota 562 m. s.l.m. Sul fronte meridionale presenta un fossato in parte ancora visibile ed al centro di questo lato si apriva l’ingresso principale di cui restano riconoscibili soltanto i due piedritti dove era ricavato l’alloggiamento del portone d’ingresso e del ponte levatoio. Immediatamente ad ovest dell’ingresso è presente un varco probabilmente con funzioni di ingresso secondario.
Per consultare Il saggio completo vedi il sito montecorvinostoria.it alla voce borghi: Nuvola-Castello.
 
 

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Palazzo Foglia – Gauro –

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Probabilmente costruito nel ‘600 e sicuramente ampliato nel ‘700 da Carlo, è stata sempre la residenza degli eredi legittimi. Il suo aspetto, oggi, è cambiato per diversi motivi (si pensi alla ristrutturazione successiva al sisma del 1980), ma non così radicalmente da non poterne apprezzare i suoi principali tratti architettonici.
 
Il palazzo rispetta la tipica struttura a “corte”, presenta le sue caratteristiche settecentesche nelle strutture esterne, in particolare nella facciata e nella corte con pozzo. Internamente, al piano nobile, si possono ammirare ampi saloni con soffitto a volta, loggia e balconate, al piano inferiore un tipico forno per il pane con vecchie travi a vista. Nelle cantine, poi, la presenza di alcune vecchie macine in pietra fa verosimilmente pensare all’esistenza in passato di un frantoio per olio.
 
Per consultare il documento della presa di possesso di Gauro nel 1753 vedi il sito montecorvinostoria.it alla voce borghi: Gauro
 

La Sagrestia di S. Pietro di Rovella

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La complessa opera decorativa venne realizzata all’indomani della costruzione del nuovo edificio della sagrestia, la cui fabbrica fu voluta da monsignor Menafra, nell’anno del suo insediamento in diocesi.
 
I lavori ebbero inizio, infatti, nel novembre del 1718 e furono ultimati entro il 1720. Nell’estate di quell’anno, inoltre moriva nel casale di S. Martino, il canonico Budetta, lasciando suoi esecutori testamentari monsignor Menafrra e l’arciprete Aiutoro. Grazie al suo lascito trovandosi ”qualche summa”, l’arciprete potette far “pittare” e “fare il friso” al nuovo ambiente della sagrestia, spendendo per “.. l’anili colori ed ogni altro che abbisognava per la pittura ..” 59 ducati e grana 57. Entro il 1720 furono, dunque, portati a termine anche i lavori di decorazione del nuovo ambiente.
 
Dalla relazione dei libri capitolari del 1724 si conferma, nei fatti, che l’opera era stata ultimata da pochi anni: “ .. Nova et pulcra sacristia ex summa ejusdem vivientis illustrissimus, et revendissimus Episcopus et R.R. Dignitariorum et canonicorum vigilantia constructa, desuper circumcirca depinta ..”.
Fu probabilmente Matteo Chiarelli, figlio del pittore Francesco, nato forse nel 1698 o nel 1699 e morto nel 1742, a realizzare tali decorazioni. Nei documenti il suo nome non viene direttamente citato e proposito di questo incarico, bensì in riferimento ad una tela, eseguita, nel 1720, per la parete interna della facciata della Collegiata, per conto di monsignor Menafra e per trenta carlini.
 
Dalle note si evince, inoltre, che: “.. in tempo che si pinse la Sacristina .. celebrò messe sei per il peso Capitolare ..” don Domenico Chiarelli, canonico della Cattedrale di San Matteo, il quale, probabilmente, era a Montecorvino in veste di accompagnatore del giovane fratello, dimorando in Salerno nella sua stessa casa.
 
Originario, forse, della costiera amalfitana, solimenesco, così come lo furono tanti giovani provinciali della sua generazione, il Chiarelli eseguì, con ogni probabilità, queste decorazioni come suo primo ed importante lavoro. Talune ingenuità compositive, del resto, lasciano intravedere una mano ancora inesperta, che, di fronte alla complessità dello spazio di una volta a carena, non sa ancora trovare adeguate soluzioni prospettiche.
 
Tali irrisolutezze saranno ben superate nelle opere della sua maturità, a partire da quelle documentate dalla fine degli anni Venti. Del resto, il confronto tra alcuni brani della volta montecorvinese e quelli realizzati per la chiesa di Santa Maria delle Grazie in Occiano, sicuramente autografi e congedati tredici anni dopo, non solo consente di attribuire, senza incertezze, al Chiarelli le decorazioni della sagrestia della Collegiata di S. Pietro, ma permette, al tempo stesso, di cogliere i più maturi esiti della pittura dell’artista.
 
Tranne che nelle proporzioni (più ridotte quelle del Santo di Occiano), le figure che ritraggono, nell’un caso e nell’altro, San Francesco de Paola, sono pressoché sovrapponibili, sia per l’impostazione grafica, sia per la tecnica di stesura del colore, sia nel modo in cui vengono lumeggiati i volti. L’unica e non trascurabile variabile consiste in un più misurato controllo dei mezzi espressivi, a vantaggio della successiva impresa occianese del 1733.
 
Estratto da schede di Carmine Tavarone, in B. D’Arminio – C. Tavarone, Fede e Arte. Espressioni artistiche e pietà religiosa a Montecorvino Rovella, Salerno novembre 2004.