Nella vecchia chiesa di S. Martino, luogo posto lungo una strada antica, fu ritrovato negli anni ’80 del Novecento una fornace per la lavorazione e cottura di ceramica locale. Dal materiale ritrovato è emerso che l’attività artigianale, anche se di tipo precario e non continuativa, ha avuto una fase di lavorazione compresa fra il bronzo finale e l’inizio dell’età del ferro.
Nell’ultima parte dell’impero romano, lungo l’antica strada per Salerno, fu costruito un fundus appartenente a un patrizio romano nell’area compresa fra via Taverne Vecchie e la località la Sala. Fondato, probabilmente, da un Marciano o un Marzius nel corso del III o IV secolo d.C., il sito era posto in un luogo strategico, alla biforcazione di alcune strade e sentieri che collegavano il centro agrario con i fundus di Boliano, Fontigliano, Nebulano, Pugliano, Frosano e Arpignano, con le aree agrarie di Aiello e Pezze e con la colonia romana di Salerno.
Nel 640 con la conquista pacifica di Salerno, centro amministrativo e politico del territorio, la gran parte dei beni fondiari di S. Martino furono assegnati per diritto di hospitalitas a un dominus longobardo proveniente dalla vicina fara di Piana Antico o da altri luoghi dell’interno. Il nuovo signore longobardo, accompagnato da gruppi famigliari di exercitales, si insediò con il suo seguito, probabilmente, nel vecchio fundus di Marzano, riutilizzando parte delle strutture sopravvissute alle distruzioni e ai saccheggi precedenti.
Nel corso della seconda metà del VII e i primi decenni del VIII secolo assistiamo alla costruzione di una chiesa dedicata a S. Martino, a una lenta emigrazione di alcuni nuclei famigliari verso Aiello, e soprattutto, a una ridefinizione degli spazi abitativi del centro dominico dove, probabilmente, veniva riscossa l’imposta del portaticum, plateaticum e altri tipi di dazi esistenti nel Ducato.
Le continue incursioni Saracene che funestarono buona parte della seconda metà del IX e i primi decenni del X secolo causarono una profonda crisi sociale e demografica in tutto il territorio e una rivalutazione dei siti di altura. La nostra Sala, posta su un piccolo rilievo collinare fu, probabilmente, di nuovo riconsiderata dalle famiglie locali. Le successive condizioni di relativa sicurezza del X secolo, permise a parte dei suoi abitanti di abbandonare la sala e di emigrare nei vicini fondi agrari di Aiello e del Tusciano, ripristinando così le vecchie peculiarità abitative e produttive.
Il nuovo sito demico, formatosi durante il X e XI secolo, era costituito da due o più curtis, poste lungo l’asse viario principale, al di sotto della chiesa, e su una nuova strada vicinale che conduceva, probabilmente, a Casa Marzana. Fra i suoi abitanti troviamo in questo periodo Sararchi e la figlia Cetre, la quale per il matrimonio con un certo Corbi di Prepezzano, si trasferisce nella casa del marito, lasciando la curtis paterna e la conduzione dei suoi fondi ai cortisani del luogo. La nostra signora risulta ancora vivente nel 1030, quando il figlio, Disio di Prepezzano, intenta una causa contro la Chiesa di S. Massimo per difendere i beni materni dagli sconfinamenti della potente Eingenkirchen. Le proprietà in questione vengono individuati nella località San Martino de Agello, quindi posti nelle vicinanze della chiesa. Nel 1034, in un successivo atto vengono localizzati ad Agello, e precisamente in San Martino, ribadendo quindi la estrema vicinanza all’edificio sacro, cosa che ci fa presupporre ancora la predominanza toponomastica del vecchio Locus. Nonostante questa appartenenza piena ad Aiello, il nostro abitato demico, insieme a quello della Sala e di Casa Marzana, era in piena espansione demografica e sociale, abitato, come detto in precedenza, da diversi nuclei famigliari attivi in diversi campi economici, proprietari di beni propri e concessionari di fondi appartenenti alla nobiltà salernitana. La conferma di questa crescita sociale ed economica è ribadita in un ulteriore atto del 1064, quando un terreno posto lungo il vallone Trauso viene localizzato a “Sancto Martino de Agello, ubi alo Trauso”.
Il villaggio di Martino sorto sui vecchi siti longobardi era posto, probabilmente, lungo la strada principale, tra il vallone del Marmore e la chiesa di S. Martino su una di vasta area in forte pendenza, nelle vicinanze del nucleo umanizzato di S. Basilio e Giovanni. Si trattava di un classico villaggio demico, aperto, costituito da una serie di case a corte chiuse, circondate da siepi e dotate di palmenti, depositi agricoli, stalloni per i buoi e, in alcuni casi, da lavelli alimentati da piccoli sorgenti superficiali o da pozzi. Il nome dell’abitato, documentato nel 1238 come casale, era Mayparti e indicava, probabilmente, la parte maggiore dei borghi umanizzati esistenti intorno e nelle vicinanze della chiesa, costituenti e parte integrante di un vasto villaggio denominato come Locus o Villa S. Martino. Le famiglie residenti appartenevano quasi sicuramente alla classe degli allodieri e boni homines ed erano composte da personaggi legati prima ai vari potentati locali e poi fedeli vassalli della Chiesa Maggiore di Salerno.
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