La Sonnambula di Montecorvino “ composto da Francesco Mastriani, ( 1819 – 1891 ), celebre scrittore napoletano, che fu ospite della famiglia Maiorini, nel Palazzo in Via Clelia, ora Via Diaz, tra l’ottobre del 1877 e gli inizi del 1878 per circa sette mesi. Il Mastriani, seppure, come sopra riferito, fosse celebre perché già autore di numerosi romanzi di successo specialmente a Napoli, versava in condizioni economiche disagiate e l’ospitalità generosa dei Maiorini lo indusse a scrivere un romanzo ambientato in Montecorvino Rovella sul Castello Nebulano nel primo decennio del 1800, quando questo era già un ammasso di rovine da circa tre secoli in un deprecabile stato di abbandono. Sempre il Mastriani, dotato di una genialità non comune, girando per Montecorvino, si informava su nomi e su possibili leggende che tradusse in racconto incastrandolo in un romanzo incompiuto di vita napoletana. ( Chi l’ha letto o ha visto la rappresentazione teatrale dei POPOLANI, può capire il riferimento). Il romanzo fu stampato nella prima versione a Napoli e poi a Montecorvino dalla Tipografia L’Unione che aveva la sede in Via Silvestro Bassi e non ebbe larga diffusione a causa dell’analfabetismo dilagante, tanto che diversi maestri elementari facevano dei veri e propri cenacoli serali con i contadini che tornavano dai campi, per raccontare il romanzo e con l’inevitabile aggiunta di qualche coloritura. Il contadino, tornato a casa, dopo aver cenato e recitato il Rosario, riuniva la famiglia intorno al focolare ed iniziava anche lui il racconto ai propri familiari che rimanevano incantati ed immaginavano per personaggi reali e realmente vissuti quelli inventati di sana pianta dal Mastriani e questa storia passò per vera. Posso garantire che in pieno duemila qualcuno cercava non i vari testi in circolazione ma “ la vera storia di Montecorvino” che era la Sonnambula. C’è da aggiungere che la trama non era poi una sola. Essa variava a seconda della memoria del narratore e dallo stato fisico e mentale in cui si trovava al momento in termini di quantità di vino bevuta. Nel 2007, la Compagnia Teatrale “ I Popolani “, rappresentò il romanzo da me reiscritto in versione teatrale e alla fine dello spettacolo si presentò una persona anziana molto nota che mi disse che era un parente del Conte Baldassarre di San Pietro, principale figura del libro.  

 

Agli inizi degli anni settanta, quando ormai da un decennio, sulla scorta delle pubblicazioni del Serfilippo e dello Iorio ( eredità del mio defunto genitore ) cercavo affannosamente di ricostruire la storia di Montecorvino Rovella e di Padre Giovanni da Montecorvino, fui accolto, come avveniva periodicamente, dallo studioso più informato in quel momento, l’avvocato Pasquale Budetta.

Durante quei piacevoli colloqui, mi fece accenno del romanzo della ” Sonnambula di Montecorvino ” e del suo autore, Francesco Mastriani, raccontandomi ,in modo molto sintetico, una simpatica storiella, dicendomi, poi, che qualora avessi voluto saperne di più, avrei dovuto recarmi presso il Barone Luigi Negri di Paternò, che abitava in Via Diaz.

In quel mese di novembre, fui ricevuto dal Barone Negri, seduto su di una poltrona damascata, accanto ad un accogliente e scoppiettante caminetto e, dopo uno stupendo   caffè servito in tazze col contorno argentato, iniziò a raccontarmi la storia del romanzo, permettendomi di fotografare il tavolinetto sul quale il Mastriani lo scrisse   ( vedi foto pag.130 della nostra pubblicazione ” Ricerche storiche su Montecorvino Rovella ” Tipolito Guidotti 1980).

In quella casa ( allora Via Clelia ), abitava un suo antenato, l’avvocato Vincenzo Maiorini ( 1818 – 1883), marito della nobildonna Maria Caterina Bassi ( dec.1879) ed il loro figlio Carmine Maiorini ( 1847 – 1919 ), medico chirurgo.

Questi frequentava settimanalmente l’ambiente napoletano, ove, nei salotti culturali, amava scambiare informazioni, sia di cultura varia, sia attinenti la sua professione.

Per la pausa pranzo, si recava in una trattoria situata in Via San Biagio dei Librai.

Nel mese di giugno del 1877, trovò seduto in un angolino della locanda ,seduto ed intento a sorseggiare un bicchiere di vino, Francesco Mastriani, già affermato scrittore, seppure afflitto da condizioni economiche precarie che la sua professione di insegnante elementare non gli consentivano di attenuare.

Il Maiorini era appena entrato, il suo abbigliamento elegante non era sfuggito all’occhio vigile del Mastriani che lo avvicinò, dicendogli : ” Mi scusi, lei non è……….tal dei tali ?” – ” No, io sono il dottor Carmine Maiorini di Montecorvino ” – ” Era appunto quello che volevo dire, replicò abilmente il Mastriani ” –                          ” Ma lei chi   è, chiese il Maiorini” – ” Sono Francesco Mastriani ” – ” Il celebre scrittore ? Vorrei tanto averla come ospite a casa mia ! “.

Detto fatto, il Mastriani accettò immediatamente e nell’ottobre di quell’anno fu ospitato in casa Maiorini , alla Via Clelia, di Montecorvino Rovella.

Lo stesso autore, nell’introduzione del romanzo, narra la sua venuta nel nostro paese.

Divinamente ospitato e attratto dalle bellezze naturali del posto , che accuratamente descrive sempre nella citata introduzione, nonché dalla squisita ospitalità della gente del luogo, trovò il modo di allungare la sua permanenza e, sfruttando la sua genialità, dopo lunghe passeggiate e colloqui con gli indigeni, decise di scrivere un romanzo.

Incastrò felicemente un romanzo incompiuto di vita napoletana con episodi di vita cittadina, creando un personaggio, il Conte Baldassarre di San Pietro, che rappresentava il suo sogno di vita.

Il romanzo fece presa nella popolazione, favorito dalla mancanza di pubblicazioni sulla storia di Montecorvino ( il Serfilippo scritto nel 1856 era già introvabile e di non facile lettura ) e dal dilagante analfabetismo, per cui fu tramandato oralmente e raccontato accanto al focolare nelle fredde serate invernali.

Il fatto strano è che, per la sua scorrevolezza e per la sua dovizia di particolari, è stato scambiato per storia vera e ciò comporta non poche difficoltà in chi si accinge a scrivere su Montecorvino Rovella e sulla sua vera storia.

La Sonnambula di Montecorvino, ribadiamo, un romanzo inventato di sana pianta, ma bello e piacevole, è soltanto una delle tante pagine delle nostre gloriose tradizioni.
 
© Nunzio di Rienzo
 
 
 
 

Altro titolo: Peppe il brigante di Sora.

 

   Fu pubblicato in appendice su:

   – Roma, 16 luglio – 11 ottobre 1881.

 

   Altre edizioni in volume:

   – Napoli, Gennaro Monte, 1906, col titolo Peppe il brigante di Sora o La sonnambula di Montecorvino.

   – Firenze, Adriano Salani, 1915, 1922, 1928.

   – Cava dei Tirreni, Palumbo-Esposito, 1972.

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Il romanzo è preceduto dalla seguente INTRODUZIONE dell’autore:

 

INTRODUZIONE

   Verso lo scorcio di ottobre dell’anno 1877 io visitai il bel paese di Montecorvino-Rovella nel Principato Citeriore.

   Non bisogna confondere questo paese con l’altro Montecorvino-Pugliano, poco discosto da quello.

   La stazione ferroviaria di Montecorvino Rovella è su la linea di Eboli, a pochi chilometri da Pontecagnano.

   Partendo da Napoli si arriva in circa tre ore alla stazione di Montecorvino-Rovella; ma per giungere nel paese bisogna fare in carrozza una salita che dura oltre un’ora.

   Il Municipio di Montecorvino-Rovella fa trovare pronta la carrozza ad ogni fermata del treno ferroviario in quella stazione; e col modicissimo nolo di 70 centesimi si ha un posto in carrozza per trarre al paese.

   Partito da Napoli col treno delle sei e un quarto del mattino arrivai alla stazione verso le dieci.

   Colà mi aspettava il compitissimo giovane dottore Carmine Majorini, la cui gentile famiglia mi offeriva cordialissima ospitalità; e con lui presi posto nella carrozza che rileva i viaggiatori che si recano a Montecorvino-Rovella.

   Ci trovammo in compagnia d’una maestrina municipale e di un prete.

   Trovatemi una diligenza postale, una carrozza da viaggio, un vagone di ferrovia od un carrozzone-tram, in cui non ci sia un prete od un frate! E per lo più sono sempre i più pingui che viaggiano!

   Se il tempo mi avanzasse e l’animo mio fosse disposto alle cose umoristiche, mi piacerebbe di descrivere i miei viaggi in terza classe per le mie tre gite settimanali ad Aversa, dove dettavo lezioni d’italiano in quel Liceo. Le curiose avventure di cui io fui testimone per lo spazio di cinque anni e che avvennero ne’carrozzoni di terza classe in quelle mie gite e ritorni formerebbero un romanzo de’ più divertevoli.

   Giungemmo nel paese alle undici e mezzo.

   Come venni accolto dalla cara famiglia Majorini e da quel fiore di gentilezza che è il signor Carlo Budetti, cognato del dottor Majorini, non dirò per tema di non dire abbastanza della squisitezza de’loro tratti.

   Tutti in quella famiglia gareggiarono in fina cortesia nel procurare che di nulla difettasse la geniale ospitalità offertami e che dilettoso mi riuscisse il mio breve soggiorno il quel ridente e pittoresco paese.

   E ne’pochi giorni della mia dimora colà ebbi a sperimentare la gentilezza e la bontà di que’nativi del paese, gente cordialissima per quanto sincera e colta.

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   Montecorvino è alla distanza di circa 15 miglia da Salerno; ed è il capoluogo del circondario: ha ad oriente l’antico fiume Tusciano, oggi Battipaglia, e ad occidente il fiume Picentino o Cagnano, donde piglia nome di Pontecagnano la stazione ferroviaria che precede immediatamente quella di Montecorvino venendo da Napoli.

   È situato a semicerchio alle falde di un monte che domina la vasta pianura di Salerno, di Eboli, e delle antiche città picentine Sibari e Pesto.

   È diviso in due così detti ripartimenti, Montecorvino-Rovella e Montecorvino-Pugliano.

   Rovella è circondato da’paeselli o casali Castiuli, Occiano, Martorano, Gauro, Marangi, Chiarelli, Votraci, Molinadi, Cornea, Ferrari, Nugola, S.Martino.

   Ricchi di rigogliosi oliveti sono que’colli i quali, in certi punti riesono così pittoreschi per ridenti vallette, per sussurranti cascate di limpide acque, per frastagli di ombrosi poggi di lussureggiante verdura, h’io ne trassi così grata impressione che mi pareva di stare nel mezzo delle romanzesche vallate della Svizzera.

   A breve distanza l’uno dall’altro sorgono sul pendio del monte que’tanti paeselli, in cui sì modesta ad un tempo e dolce è la vita, dove l’animo si riconforta a sereni pensieri, e dove ogni tempestosa passione si assopisce, per così dire, in quella placidezza e calma di natura.

   Ricorderò sempre di aver passate dilettosissime ore in quelle lunghe passeggiate da me fatte in compagnia della cara famiglia Majorini su per quella incantata collina dov’è la chiesa con l’annesso convento de’Cappuccini.

   Noi altri napolitani, abitanti di popolosa e romorosa città, storditi da mane a sera dallo incessante e indecente baccano delle nostre strade, in cui lo schiamazzo, i gridi e i canti si protraggono fino a notte avanzata, noi abbiamo bisogno, assoluto bisogno, di andare di quando in quando a respirare l’aria pura de’luoghi dove non arriva la pestifera respirazione di questa noiosa e intollerabile eterna schiamazzatrice che si domanda Partenope. Abbiamo bisogno di ritrovarci nel silenzio pensoso de’colli, dove le odorose aure fuggenti ci parlino amore e Dio.

   Lungi per qualche giorno dal turbinio delle inettezze che ne circondano in una popolosa città; lungi da questo fango che è polve delle generazioni che sono passate, lungi dalla menzogna, dalla vanità, dalla ipocrisia, virtù della civiltà; lungi da questa bulima che corre ogni giorno appresso alla cartamoneta, calpestando il galateo, il codice, il vangelo e Dio; lungi da questo formicolio nauseabondo come quello de’neri insetti che tappezzano di notte le pareti di un refettorio.

   Oh com’è dolce il ritrovarsi per poco lungi dalla maschera umana!

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   Nel primo giorno della mia breve dimora in Montecorvino, ospitato in casa dello esimio avvocato Vincenzo Majorini, ebbi l’onore di essere visitato da parecchi gentiluomini del paese, de’quali ebbi a notare la squisitezza del tratto.

   Montecorvino-Rovella diede i natali a non pochi eminenti ingegni, tra i quali ricorderemo un Luca Gaurico, celebre astronomo e scrittore di dotte opere, vissuto nel secolo decimosesto, un Pomponio Gaurico, fratello di Luca, poeta, letterato ed astronomo, professore nella Università di Napoli, e maestro del celebre Ferdinando Sanseverino, principe di Salerno; e tra i contemporanei un Errico Franchini, consigliere d’Intendenza in Salerno, versatissimo nelle lingue ebraica, greca e latina ed erudito in lapidaria e numismatica; ed un Michelangelo Franchini suo nipote, che fu vescovo di Nicotera e Tropea.

   Ci piace di ricordare tra gli egregi uomini d’ingegno di Montecorvino il signor Francesco Serfilippo, autore d’una importante monografia sul suo nativo paese, dalla quale attingemmo non poche notizie per questo nostro lavoro.

   Nelle mie campestri escursioni ne’dintorni di Montecorvino volli visitare i ruderi di un antico castello che si trova sulla via che mena al comune di Pugliano.

   Questo castello era conosciuto negli antichi tempi col nome di Castrum Nubilarum ovvero Castello Nebulano, forse così addimandato perché messo, per così dire, tra le nugole, atteso la sua eminenza.

   Fu assediato nel duodecimo secolo da Guglielmo Normanno, figliuolo del duca Ruggiero; e poco tempo appresso il re Ruggiero, per vendicarsi degli abitanti di Montecorvino, i quali aveano serbato fedeltà al pontefice Innocenzo II ed al Lotario imperatore, assalì Castel Nebulano e lo demolì facendo strage de’cittadini, e saccheggiando, a mo’ de’barbari, e templi e case.

   Il Castello fu riedificato; ma, nelle guerre tra Ludovico d’Angiò e Ladislao di Durazzo, venne assalito dal conte Alberico da Barbiano, generale di Ladislao, che mise anche barbaramente a ruba il paese.

   Venne in appresso il Castel Nebulano abitato dal primo Alfonso d’Aragona, il quale in compenso de’servigi rendutigli da parecchie famiglie di quelle circostanze, concedette loro diversi titoli di nobiltà.

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   Pare che su i principii di questo secolo il Castello non fosse ancora distrutto, dacchè la storia che narreremo ebbe per teatro questa magione o qualche altra vasta abitazione attigua al Castello.

   Comunque fosse una storia commoventissima è ligata all’ultimo abitatore del Castello Nebulano o di quella magione che ne aveva ereditato il nome.

   E quest’ultimo abitatore del Castello fu il conte Baldassarre de Vittorio di San Pietro, l’ultimo che ereditò i titoli di nobiltà conferiti a’suoi antenati dal monarca aragonese.

   Mi fu narrata la storia del conte di San Pietro; e, trovatala ricca di strani avvenimenti e piena di così detto interesse drammatico fermai di farne il subietto di un mio nuovo lavoro.

   Presa questa determinazione, mi posi alla ricerca dei ragguagli che potevano completare ed arricchire il mio racconto; e da un vecchio e garbatissimo proprietario di quei dintorni, il cui padre era stato l’amministratore generale de’beni del conte, mi ebbi tutte le più minute notizie su i principali personaggi e su li strani casi della storia che mi accingo a narrare.

   Questo signore conservava il ritratto del conte Baldassarre di San Pietro e quello della giovane Rosalia, protagonista della presente istoria.

   Questi due ritratti ad olio e a dimensioni naturali mi furono di gran giovamento per la dipintura dei due personaggi.

   Su la effigie del vecchio conte ottuagenario io lessi chiaramente scolpite la dolcezza del suo temperamento e la bontà del suo cuore.

   E su quella della giovane Rosalia, era scolpito il pietoso dramma, che mi accingo a svolgere in queste pagine.

   Rosalia di Sant’Eustachio (come la chiameremo dal nome del paese o del villaggio che le die’i natali) non era bella, a giudicare dal ritratto e da quanto asseriva quel vecchio signore che l’avea conosciuta; ma era una di quelle figure che viste una volta, non si dimenticano più.

   Ci era in quel sembiante qualche cosa, direi, di soprannaturale. I suoi occhi neri e profondi, scavati, per così dire, nell’anima, parea che ti narrassero i misteri della seconda vita.

   I vecchi ricordavano di questa Rosalia di Sant’Eustachio; e la chiamavano la Sonnambula di Montecorvino ovvero la folle di Castel Nebulano.

  Di queste due denominazioni sapremo le ragioni in appresso.

   Ed ora, senz’altri preliminari, noi porremo sotto gli occhi de’nostri lettori i personaggi di questa singolarissima storia, che narreremo con que’coloriti onde ci venne raccontata da’vecchi paesani di Montecorvino e di Pugliano

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