Afragola (Napoli), 5 gennaio 1976. Il maresciallo Gerardo D’Arminio sta indagando sui legami della malavita campana-sicula-calabrese. Già distintosi in alcune rischiose operazioni di servizio nella lotta contro la mafia, tanto da meritare una promozione per benemerenza d’istituto, è impegnato in complesse indagini su associazioni criminali che operano nel napoletano. Il coraggio, la tenacia e l’intelligenza del militare dell’Arma nulla potranno contro i colpi di fucile che lo uccideranno in un’imboscata. Alla sua memoria verrà assegnata la medaglia d’argento al valor militare
Il coraggio del maresciallo D’Arminio. Un investigatore di razza dall’incomparabile impegno civile
Carissimi visitatori, sono felice di raccontarvi una nuova storia. Una delle tante che ho conosciuto dopo aver consultato il prolungato e amaro elenco delle numerosissime vittime innocenti delle mafie. In particolare, ne approfitto per ringraziare personalmente Don Ciotti e tutte le persone che da circa sedici anni a questa parte, hanno deciso di unirsi all’impegno dell’associazione “Libera – nomi e numeri contro le mafie”. È un ringraziamento che intendo condividere con ciascuno di voi in occasione di questa Epifania. Grazie a Libera, oggi posso raccontarvi una vita che come tante altre valorose esistenze, è stata “ingiustamente” omessa dal ricordo collettivo di un intero paese.
La vita di un uomo che con il suo stabile e disinvolto senso del dovere, ha contrastato le tante facce del malaffare. Quest’uomo era Gerardo D’Arminio. Nato nel territorio picentino del comune di Montecorvino Rovella, Gerardo decise di lasciare la sua terra per cercare un po’ di fortuna altrove. A venti anni, si arruolò nell’Arma. Lasciando le spettacolari vallate della nativa Montecorvino, Gerardo iniziò a indossare con emozione e orgoglio la sua prima divisa. La sua ascesa nell’Arma fu del tutto rapida. Dopo i primi due anni di servizio, Gerardo raccolse un’allettante e considerevole qualifica all’interno dell’Arma. Da semplice appuntato dei carabinieri, a soli ventidue anni aveva già raggiunto il significativo grado di vicebrigadiere. Negli anni che seguirono, le capacità investigative di Gerardo apparivano del tutto fuori dal comune ai suoi superiori. Il suo intuito e la sua f
ermezza nel demolire i vari organi della malavita organizzata, furono i testimoni diretti di una carriera adornata da decisivi successi e da una lunga sequenza di meritate promozioni. Da Chieti a Isernia fino agli anni passati presso le caserme degli sperduti paesini della Sicilia, Gerardo partecipò ad alcune intricate e ardue operazioni investigative.
A dimostrare il costante attivismo del suo irrefrenabile impegno, c’erano gli undici encomi solenni che Gerardo ricevette nel corso della sua attraente e impeccabile carriera. Con l’avviarsi dei primi anni sessanta, Gerardo fu assegnato alla stazione dei carabinieri di Palermo. Fu proprio in questa cruciale fase della propria vita, che Gerardo iniziò a maturare un’acuta e qualificata conoscenza di tutte quelle torbide dinamiche che andavano a regolare gli equilibri e gli interessi della malavita siciliana. Appena insediato, Gerardo fu operante presso il Nucleo di polizia giudiziaria con il delicato compito di trarre in arresto tutti quei criminali su cui pendevano dei pesantissimi mandati di cattura. Tra i suoi arresti eccellenti spiccava la cattura del boss palermitano Michele Cavataio che sei anni dopo, il 10 dicembre del 1969, sarebbe stato trucidato nella feroce Strage di Viale Lazio. Era l’agosto del 1963 quando senza un briciolo di titubanza, Gerardo si addentrò audacemente lungo la botola che conduceva al nascondiglio di quel pericoloso latitante. Gerardo ammanettò il boss senza dargli neanche il tempo di premere il grilletto della sua “Cobra Colt”. Alcuni anni più tardi, nel 1966, fu costituito il Nucleo investigativo sotto la direzione del Tenente Colonnello Giuseppe Russo. Tra i sottoufficiali immessi all’interno del Nucleo Investigativo, era stato scelto anche Gerardo. Offrendo un rilevante beneficio all’attività direttiva svolta dal Colonnello Giuseppe Russo, Gerardo continuò a investire ognuna delle proprie ottimali capacità a sostegno di alcune impegnative indagini che furono esclusivamente rivolte al netto contrasto della mafia siciliana. Rimanendo a Palermo per oltre quattro anni, Gerardo ricevette un lodevole grado all’interno dell’Arma.
Poco più che trentenne, si accingeva ad assumere la laboriosa qualifica di maresciallo. Giunto all’epilogo di quella memorabile parentesi palermitana, Gerardo fu incaricato di dirigere la stazione del qu
artiere napoletano di S. Giovanni a Teduccio. Era il 1970 mentre in tutta la zona del Napoletano, si stava violentemente generando una sanguinaria contesa tra i clan di Cosa Nostra e il gruppo dei marsigliesi. La sinistra scintilla di quella brutale faida era riconducibile all’insana ambizione di contrastarsi per la conquista della torbida “via del tabacco”. Fin da subito, Gerardo, non scarto in alcun modo la possibilità che esistesse un perverso intreccio tra la disputa per la “via del tabacco” e il traffico di stupefacenti. I suoi sospetti come dimostreranno in seguito anche gli esiti di alcune indagini, non erano per nulla infondati. Nel frattempo, al di fuori della sua quotidiana e determinate attività di sottufficiale, Gerardo riuscì anche a coronare il brillante progetto di mettere su famiglia. Sposandosi con la moglie Anna divenne padre di Giusy, Annalina, Carmine e Marco.
Quattro splendidi e amorevolissimi pargoletti che divennero i principali destinatari delle premure di quel loro coraggioso papà. Dopo aver magistralmente diretto la stazione di San Giovanni, Gerardo ricevette la convocazione per prestare servizio presso il Nucleo Investigativo della Locale Legione dei Carabinieri. Il capitano Roberto Conforti che all’epoca era stato appena nominato vice comandante del Nucleo Investigativo, aveva bisogno di un maresciallo che guidasse la sezione antidroga. Fresco di nomina, Conforti decise rapidamente di affidare proprio a Gerardo la guida di quella delicatissima sezione. Da quel preciso momento, Gerardo si propose di avviare un’attenta attività investigativa che potesse svelare tutti i sotterranei e sussistenti interessi che andarono ad accomunare le aspirazioni dei padrini di Cosa Nostra con quelle di una debuttante e del tutto spregiudicata Camorra.
Continuando ad adoperarsi in favore dell’Arma, Gerardo arrivò anche a sviluppare un’approfondita e cronologica conoscenza delle tante vicende criminali che fin dall’inizio degli anni settanta, avevano gettato nel più lacerante sconforto l’intero hinterland napoletano. Era il solo che riusciva a ricordare i nomi d’innumerevoli camorristi ripercorrendo tutte le varie tappe che avevano caratterizzato la loro carriera criminale. Impiegando t
utta la sua attendibile e nitidissima memoria, Gerardo non dovette ricorrere quasi mai alla consultazione dell’archivio
. Al timone della squadra antidroga, si apprestò a predisporre una serie di adeguati interventi di polizia giudiziaria per reprimere gli occulti meccanismi su cui si poggiava l’imponente e appetibile mercato della droga. Gli effetti scaturiti da quelle precise operazioni risultarono alquanto sensazionali. Furono messe a segno decine e decine di capillari perquisizioni che sarebbero positivamente culminate con il sequestro di enormi quantitativi di droga. Senza accantonare la sua ostinata fermezza investigativa, Gerardo riuscì a identificare l’infausto canale che partendo dal Perù e approdando successivamente a Francoforte e Milano, movimentava il massiccio flusso d’importazione dell’eroina. Alcuni anni dopo, nel dicembre del 1974, Gerardo fu trasferito presso la stazione dei carabinieri di Afragola, dove prestò servizio fino al mese di luglio del 1975.
Successivamente, ritornò ad essere assegnato alla locale Legione dei Carabinieri. Era la sera del cinque gennaio 1976, quando intorno alle ore 21:15, Gerardo si trovava accanto ad uno dei suoi quattro figlioletti nella piazza principale di Afragola. Pochi minuti dopo, tre killer al volante di una sfuggevole fiat 500, lo freddarono con otto pallettoni di fucile a canne mozze.
Durante una sfrenata corsa per raggiungere l’ospedale “Loreto Mare” di Napoli, Gerardo si spegneva a soli trentanove anni per aver difeso la sua terra e tutto il nostro paese in nome di un inestimabile ideale. Si concludeva così la missione di un fedele e autentico servitore dello Stato Un cordiale saluto a tutti voi.
Pasquale Scordamaglia
OK
Gerardo D’Arminio, una vita dedicata alla lotta alla criminalità.
Una medaglia d’argento al valore e un busto in una piazza di Afragola; questo è quanto rimane del maresciallo capo Gerardo D’Arminio. Trentotto anni, una decina di encomi e due promozioni “sul campo” per meriti eccezionali, Gerardo era un uomo impegnato in prima linea: fu tra coloro i quali parteciparono attivamente all’arresto di un importante boss palermitano, Michele Cavataio, calandosi nella botola che conduceva al nascondiglio segreto del boss. Indiscusse capacità investigative e un formidabile intuito consentirono a Gerardo una rapida ascesa all’interno dell’arma.